Antonio Giacomini: 25 anni di sfide e successi tra innovazione e radici

Pubblicato su:
Il Newyorkese
Dic 2024

Dal rione Traiano di Napoli al cuore dell’America, Antonio Giacomini racconta a Il Newyorkese la sua visione per Innovaway: un’azienda italiana che punta su competenze, sostenibilità, inclusione e innovazione per affrontare le sfide globali.

Come e quando nasce Innovaway?

La storia dell’azienda nasce nel lontano 1998, l’anno scorso abbiamo festeggiato i nostri 25 anni di attività. È la storia di due famiglie che si sono messe insieme e hanno creato un’impresa. Eravamo quattro amici al bar: io, mio fratello e i miei due cognati. C’era chi ancora doveva laurearsi, chi si era appena laureato, ed insieme abbiamo deciso di intraprendere il nostro percorso imprenditoriale. Nei primi tempi dovevamo dividerci il lavoro, senza segretarie. Ma ci abbiamo messo poco a capire che da lì avremmo scritto la nostra storia. Siamo cresciuti nel settore in cui credevamo ed oggi abbiamo più di 1.300 dipendenti sparsi in sette città italiane e quattro città all'estero. Da qualche mese siamo presenti anche qui negli Stati Uniti.

Quando si decide di fare impresa in territorio difficile come Napoli ci sono tante difficoltà...

Sì, il nostro headquarter è ancora dove siamo nati, nel centro polifunzionale di Soccavo, nel pieno rione Traiano. È un quartiere noto sicuramente per le notizie di cronaca nera. Ma oggi per noi è ancora un orgoglio essere lì e fare delle attività su quel territorio difficile. Noi abbiamo creduto in quel territorio, ci crediamo ancora adesso e ci investiamo. La storia nasce lì e poi, man mano, siamo riusciti ad espanderci, prima su Roma, poi su Milano, poi su Torino. A quel punto ci siamo resi conto che avevamo bisogno di una struttura diversa.

Ha mai avuto momenti difficili in cui ha pensato di non farcela?

Sono uno tenace, quindi quando mi prefiggo un obiettivo, cerco di raggiungerlo in tutti i modi. Non mi scoraggio mai. Un punto di forza è la famiglia: non è un'azienda familiare, ma siamo quattro persone molto legate. Forse il successo è dato soprattutto da questo, anche perché io personalmente non ho studiato nel campo informatico, nasco più nel settore del finance. Spesso dico che sono un uomo in prestito dal mondo della finanza all’IT. Ma in questo settore so che pezzi aggiungere e come farli funzionare insieme.

Il mondo, soprattutto nel campo dell'IT, è in evoluzione costante. Come si fa a stare al passo coi tempi?

L'importante è focalizzarsi su alcune nicchie e svilupparle. Il nostro punto di forza rispetto alle multinazionali, che hanno dei servizi standardizzati, è quello di fornire dei servizi tailor made, di riuscire a customizzare l’offerta sull’azienda. Studiamo l’azienda, la capiamo, parliamo lo stesso linguaggio. È stata questa la chiave per la crescita. Poi la sfida è diventata internazionale. Adesso abbiamo uffici a New York, Philadelphia, ma già prima eravamo arrivati in Albania, Olanda, Bulgaria.

Quando è partito per l’America aveva il famoso sogno americano?

No, sono sincero. Conosco perso- ne che operano negli Stati Uniti e l'ultima acquisizione fatta del management internazionale ha sempre lavorato qui in America. Quindi la nostra scelta di aprire negli Stati Uniti è derivata dal fatto che era arrivato il momento per farlo, perché la squadra era quella giusta per entrare in un mercato così grande, ma anche così competitivo. Lavorare nel campo dell’IT negli USA è un po’ come vendere ghiaccio agli eschimesi, ma noi lo facciamo sempre con la nostra impronta, con la stessa attenzione ai Servizi che mettiamo da sempre. Abbiamo la presunzione di pensare che riusciremo a trovare anche qui la nostra nicchia. Ci siamo preparati a questo salto, non sarà un salto nel vuoto.

Quali sono gli obiettivi che vi siete dati?

L’obiettivo è di raggiungere un fatturato di cento milioni a livello globale. Oggi siamo alla fine dell'ultimo quarter del 2024 e chiuderemo di poco sotto i settanta.

Qui avete scelto un management americano in modo da gestire tutto bene. Quanto è durata la fase di preparazione al vostro sbarco negli USA?

Diciamo che inizialmente abbiamo corteggiato per un po' di tempo un gruppo già attivo qui che conoscevamo per via di alcune collaborazioni in Europa. In generale l’idea di sbarcare negli Stati Uniti nasce più di due anni fa.

Come vi state approcciando all'Intelligenza Artificiale e che opportunità offre?

Quello dell’Intelligenza Artificiale è un mondo nel quale un'azienda IT deve obbligatoriamente essere dentro. Abbiamo creato un dipartimento apposito, anche grazie al nostro ufficio di ricerca e sviluppo, con il quale abbiamo sviluppato delle nostre soluzioni in questa direzione.

Da manager di successo, che consigli si sente di dare a chi fa impresa oggi?

Una sola parola racchiude tutti i consigli più preziosi che potrei dare: competenze. Ormai il termine è quello. Bisogna riuscire a formare i ragazzi, avere un team compatto e investire sulle competenze, sui giovani: formarli e portarli in azienda.

Noi in Campania abbiamo un ITS che presidio direttamente. Siamo riusciti a vincere così quel gap che c’è in Italia: portando gli studenti usciti dalle superiori direttamente alla formazione in azienda. Il corso di solito dura 2-3 anni, nel corso dei quali lo studente riceve si alcune lezioni in aula, ma quelle che hanno più valore sono quelle proiettate direttamente nel mondo del lavoro, in azienda, con un tirocinio che varia da uno a quattro mesi e in cui lo studente tocca con mano la realtà del contesto lavorativo. Oltre questo, la Federico II ha sviluppato una sinergia con un gruppo di accademici ed un gruppo di imprese particolarmente interessanti sul territorio, tra le quali siamo stati selezionati anche noi, e questo ci rende molto orgogliosi.

Nell’ambito sostenibilità e governance, avete delle politiche aziendali?

Certo, quello di avere un'azienda sostenibile e paritaria è uno dei nostri punti fermi. Intanto, il 50% dei nostri dipendenti è composto da donne, c'è una parità di genere completa, sia dal punto di vista del numero dei dipendenti ma anche da quello della retribuzione. Ci tengo perché su questo punto siamo tra le aziende più avanzate. E infatti il tasso di abbandono è bassissimo. Ci attestiamo intorno al 7-8% annuo di ricambio, un dato veramente basso visto che spesso, in altri contesti, supera la doppia cifra.

In un mondo in cui i software sono sempre più standardizzati e non si adattano alle esperienze e alle attività delle aziende e delle persone, che alert si sente di lanciare agli altri player e ai clienti?

In generale, le aziende che non si trasformano sono destinate a fare passi indietro. Se vuoi stare sul mercato ti devi trasformare, ti devi digitalizzare e devi rendere i tuoi processi più snelli. Noi sicuramente possiamo aiutare a cucire insieme un abito adatto alla dimensione, al settore e alle competenze sulle quali l’azienda vuole spingere. Aiutiamo a fare la scelta giusta, non vendiamo solo un prodotto.

Qual è l'errore più comune che ha visto commettere in questi anni?

Sicuramente molti imprenditori peccano di presunzione: bisogna confrontarsi prima di fare delle scelte, altrimenti spesso, con il tempo, queste si rivelano non essere idonee.

Il suo posto preferito qui a New York?

È SoHo. E poi c’è Cipriani, il mio ristorante preferito.


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